martedì 31 gennaio 2012

E 'sticazzi

E adesso hai anche il tuo piccolo blog. Wow, bravo. Nessuno ci aveva mai pensato. Come hai fatto a farlo, tutto da solo? Dev’essere stata una fatica, trovare il modello predefinito di Google Blogger, scegliere due colori, schiaffarci sopra un titolo e giocare a fare l’artista maledetto. ‘cidenti.
Minchia, anzi.
E di questa disperazione del non poter più scrivere, ne vogliamo parlare? Ah sì, tragica come poche cose. Neanche fossimo in un’epoca di gente impiccata perchè disoccupata, di colonne greche che crollano e si portano via con sè conti e destini.Ma tu NON PUOI SCRIVERE. Ecco qual’è il problema, ecco di cosa dovremmo leggere.Basta trovarti tra gli altri miliardi di blog tutti uguali, tutti lì a gridare il proprio piccolo ego, a metterlo in mostra sul risvolto della giacca, sulla cappella, in cima al pensiero più illuso e distorto che tu potessi vomitare.
Tutti a dire –io ci sono- e a pretendere una legittimazione in questa loro patetica corsa da chi scorre le pagine col mouse, tra un’occhiata a Facebook e una a Youporn.
Tutti a dire –io sono figo mica gli altri, guarda me, leggi me, segui me. Io sono speciale. Io sono unico. Quello che ho io, non ce l’ha nessuno.
Ma non è solo questione di blog. Tu hai cominciato a parlare di scrittura. Bene, lì è uguale. Le pagine hanno saturato l’universo. Le storie sono state tutte raccontate, le stiamo solo ripetendo con nomi diversi, diversi vocaboli, ma la sostanza è tutta lì. Nessuno racconta più una storia, infatti; l’importante è saper creare un gioco di specchi, un fumo di hashish, qualcosa che dia l’impressione e niente più. Giochiamo sulle parole come colorati affreschi su mura di cartone.Basta scavare un po’ per vedere che non c’è niente.
E non parlarmi di arte, per carità. L’arte non sai nemmeno cosa sia. L’arte che indossi senza che nessuno te l’abbia chiesto, che ti dà il diritto di piagnucolare e rifiutare. L’arte che fa benissimo a meno del tuo piccolo canto solitario, io io io. L’arte che ne ha visti tanti come te, e tanti ancora ne vedrà. Imitatori di altri che hanno tentato di imitare la vita. Masturbazioni di fronte a cornici vuote.
E’ sintomatico che tu abbia messo solo un post, come manifesto programmatico. E’ così che si fa oggi: prima ci si definisce, poi forse si dimostra che si è quella cosa. Tutti siamo artisti per quel motivo. Tutti scriviamo. Sudo freddo quando sento di qualcuno che scrive. Ci siamo, mi dico. 99 volte su 100, è proprio così. E state pur certi che anche loro hanno un blog come questo, da qualche parte.
In un mondo di veri problemi, te ne sei scelto uno di carta. Cazzi tuoi. Assumiti gli oneri di questo privilegio, il privilegio di chi ha una macchia sul vestito mentre gli altri intorno non hanno di che coprirsi. Dici che sei scrittore? Scrivi allora, e non farla tanto lunga. Non venire a romperci i coglioni con le tue storie sull’anima e di dove se n’è andata l’ispirazione, oddio oddio. Non raccontarci palle sul fatto che non sei stato pubblicato. Embè? Anche se fosse, cosa cambia? L’Arte, come la Storia, ti passerà accanto senza nemmeno accorgersi di te. Di te e del tuo canto che tu credi così unico, così originale, e non capisci che le stesse parole e frasi e persino gli stessi paragrafi sono stati mangiucchiati bofonchiati scribacchiati da altri prima e dopo di te.
Parli di scrittura perchè l’hai visto fare ad altri, perchè pensi che sia facile e quindi anche un tordo come te può riuscirci. Non sai nemmeno PERCHE’ lo fai, diosanto.
Ecco cosa dovresti chiederti, prima di venire qui a sviolinarci questo finto dolore che si compiace di sè stesso.
Questo dolore che tu hai voluto scegliere, e che ti pone fuori da quel mondo che pretendi di vivere.
Questo dolore che ti piace così tanto.
Questo dolore, e a te riesce solo la parte di chi sta male, senza nemmeno sapere perchè.

mercoledì 25 gennaio 2012

Ritorno a Big Sur

Un buon punto di partenza è la fine. Da lì può partire tutto.
Alla fine di giorni e anni, ci sono io.
Cosa sia quest’io, è tutto da vedere –sia per me che per voi.
Già, voi: cosa ve ne frega di leggere dei vaneggiamenti di un tizio alla fine? Uno che apre un nuovo blog, come se ce ne fossero già pochi in giro?
Aspetto le vostre risposte. Nel frattempo, in questa insensatezza data da me che scrivo e voi che leggete, proviamo a far finta di presentarci e di volerci conoscere.

Chi sono? Mi chiamo Marco, ho 32 anni e penso di voler fare lo scrittore. Non ne sono molto sicuro. Di sicuro so che se alzo lo sguardo vedo fuori un panorama che non c’entra niente con la Sicilia in cui sono nato, o con la Roma in cui sono cresciuto.
Alla fine dei miei giorni e dei miei viaggi, mi trovo in Australia.
Come ci sia arrivato, o perchè, sono punti che allungherebbero la lista delle cose di cui probabilmente non v’importa. In questo blog non sto parlando di me –o almeno, non in questo modo.
Il punto è: chi non sono? Uno scrittore, questo è chiaro.
Definiamo cos’è uno scrittore. Basta dire che è uno che scrive? Forse. Forse no. Allora deve pubblicare, per essere scrittore? E’ già qualcosa, ma vorrebbe anche dire che TUTTI quelli che pubblicano sono scrittori. Non so voi, ma non me la sento di affermare una cosa del genere.
Magari è qualcosa che uno SI SENTE. Certo, va bene, è vago come concetto. Non è che uno si SENTE scrittore e lo è automaticamente. Fosse così, preferirei sentirmi un pornodivo.

Io mi sono sentito scrittore. E’ successo qualche anno fa. Da allora ho scritto un centinaio di racconti, che ho idealmente suddiviso in due raccolte, “Non sapevamo” e “L’happy hour del suicida”. Ho scritto centinaia di poesie, che si trovano in quaderni dalla copertina di pelle e sui retri degli scontrini. Ho scritto un romanzo, “Latinoaustraliana”.
Niente di tutto questo è stato pubblicato. Nonostante questo, ho continuato a sentirmi uno scrittore.
Ho anche fondato un blog, “Hotel Morgana”, dove continuo a scrivere. Anche in quel caso continuavo a sentirmi uno scrittore.
Non sempre era una bella sensazione. I complimenti mi facevano piacere, ovviamente, ma poi capivo che non bastavano. La vanità mi fotteva certe volte, ma non troppe, per fortuna. Avevo momenti di esaltazione pura, di puro godimento, e altri in cui mi sembrava di essere una scimmia alla tastiera. Mi sentivo dio, e poi solo un bambino rinchiuso in casa mentre gli altri sono usciti a giocare.
Mi sentivo geniale, salvo scoprirmi più indietro rispetto a tutti.
Mi sentivo felice, per poi ritrovarmi per terra anche più di prima.
Così è continuata questa strana danza, questo incontro di boxe falsato della scrittura.
E’ stato un fiume in piena, qualche volta, e qualche volta solo un ruscello. Adesso però sembra solo il letto arido di un fiume.
Sono diventati anche rari i momenti in cui mi va di scendere dall’argine e smuovere i sassi polverosi in cerca di qualche pepita dimenticata, così spesso spengo il computer e lascio perdere.

Il che, in fondo, andrebbe più che bene. La mia sopravvivenza non dipende dallo scrivere. Ho un lavoro, un posto dove stare, una donna. So cosa fare ogni giorno dalle 9 alle 5. Quando arriva il fine settimana ho così tante cose da sbrigare –ed energie da recuperare- che per poter scrivere dovrei trovargli uno spazio a fatica.
Senza la scrittura è tutto molto più semplice. Ti relazioni meglio con gli altri. Parli in maniera più tranquilla. Leggi giornali e a volte pefino guardi la televisione. Muori un po’, ma forse succederebbe comunque.
E poi, diciamoci la verità: il mondo non ha bisogno di scrittori. Come diceva Bukowski, in un’ipotetica società post-atomica, ci sarebbe infinitamente più bisogno di ingegneri idraulici che facciano scorrere bene le fogne che di scrittori. Lo scrittore è socialmente inutile. Una figura annebbiata, piccola, risibile. Antiquata, come un omino in bombetta con dei fogli sotto il braccio. La tecnologia è sembrata venirgli in aiuto, tranne poi sommergerlo in un mare di parole tutte le stesse, di voci che parlano tutte assieme e che dicono poco, sia da sole che in gruppo. Tutto quello che era possibilità, si è rivelato disastro. La democrazia delle idee è diventata dittatura di un’arte che non sa nemmeno se lo è più o no.
Gli agenti immobiliari, i web designer, i parcheggiatori abusivi, sono tutti più importanti degli scrittori. Hanno un peso diverso. Lo scrittore non punge. Non si ubriaca nemmeno più perchè è annacquato, è tutto annacquato.

Quindi potrei andare avanti benissimo senza scrittura. Non sono come Buk, relegato in un ufficio postale. Non dipendo dalla mamma come Kerouac.
E non punto nemmeno alla Gloria Finale. Sono già alla fine, i conti sono stati fatti. Siamo già tutti in televisione, che differenza può mai fare una faccia in più?
Non ho quel tipo di conti in sospeso. Non me ne frega niente.
I soldi? Mi piacerebbe non dover fare un cazzo per il resto della mia vita, ma non credo sia qualcosa che riguarda solo me. Solo che –siamo onesti: quale scrittore può campare solo di quello con cui scrive? I tempi di quei russi e quei francesi col loro lusso e le parole che scorrevano come biglie sono finiti. Adesso lo scrittore vero scrive rintanato in uno sgabuzzino prima che vengano a pignorargli pure il portatile.
No davvero, potrei tranquillamente vivere senza scrittura, COME FANNO TUTTI. Mettere da parte racconti e poesie come testimonianza di un passatempo avuto quando c’erano più capelli e meno bollette. Magari rileggerli, ogni tanto, con un sorrisetto sfottente nel viso appena rasato.

Eppure, ogni volta che spengo quel computer, che mi allontano da questa tastiera, mi sento degli occhi puntati addosso. Divento inquieto, nervoso. Incompleto. Litigo con la mia ragazza, mando tutti affanculo. Sbadiglio. Mi annoio. Discuto di banalità fino a notte fonda.
Potreste dirmi che ho bisogno di una bella scopata, ma mi sa che quel lato è già coperto. Potreste dirmi che sto invecchiando, e sicuramente anche questo è vero.
Però manca qualcosa. Manca fisicamente. Non è diletto intellettuale. Non è un concetto che va detto o si muore. Mi manca sedermi qui come sto facendo adesso, chiudere tutto fuori, mi manca il rumore di questi tasti, le mie dita che si muovono veloci, mi manca il non sentire il sonno o la stanchezza o la sbornia, mi manca quella sensazione di uscire per un po’ dalla tua pelle, uscire dalla tua vita, farla diventare la vita di tutti, mi manca fumarmi una sigaretta sulla soglia di un altro universo e poi spegnerla sotto il piede in uno sperpero di stelle. Mi manca quell’attività così autisticamente solitaria e spudoratamente esibizionistica che è la scrittura. Mi manca essere tutti. Mi manca essere me.

Così ho deciso di tornare a Big Sur per un’ultima volta. Big Sur, oltre ad essere una costa famosa in California e un libro di Kerouac, è anche una casa isolata in cui ho abitato per qualche tempo. L’ultimo posto in cui ho pensato davvero di diventare uno scrittore.
Adesso ci torno per un ultimo drink. Magari, alla fine del bicchiere, capirò quello che già sospetto, e cioè che quel giochetto lì si è inceppato per sempre. Capita.
Magari il giochetto invece riparte.
Magari mi sono fatto solo un bicchiere in un posto che conosco.

In ogni caso, eccomi qui. Ho cominciato dalla fine, e qui siamo solo all’inizio. Non so ancora perchè ho aperto un blog per dire queste cose.
Se anche voi non sapete perchè state leggendo di me e di tutte queste stronzate sullo scrivere, mi sa che ci siamo trovati.
Magari ci si rivede.

Lo Zango